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Breve storia di come un libro scomodo è riuscito ad arrivare in libreria, nonostante la crisi
L’articolo uscito su La Stampa TUTTOGREEN il 25/07/2018
Nel dicembre 2015 ho risposto ad una mail di Nico Piro e accolto la
sua richiesta di aiuto per pubblicare il suo libro sulla guerra in
Afghanistan. Così ho rincontrato Nico (ci eravamo conosciuti anni prima
quando lavoravo anche per Castelvecchi) che mi ha raccontato le vicende
del suo libro e delle sue difficoltà a pubblicarlo. Il manoscritto
raccoglieva la sua lunga esperienza come inviato della Rai in
Afghanistan, colmava un vuoto raccontando la storia del conflitto
afghano e in particolare della missione occidentale in quel Paese che si
era conclusa da pochi mesi.
In generale i giornalisti
televisivi ottengono facilmente la pubblicazione di un libro grazie alla
loro visibilità mediatica, ma gli editori che aveva contattato gli
avevano detto tutti che il libro era sì interessante ma troppo lungo
(alla fine sono diventate 716 pagine) e che era difficile da
commercializzare per via della crisi; lui non era disposto ad accorciare
la storia (tra l’altro nessuno gli aveva proposto di farlo garantendo
la pubblicazione) inoltre il libro non era un saggio ma un esempio di
non fiction narrative, univa il rigore del racconto giornalistico alla
leggibilità del romanzo.
A quel tempo ero editor associato di Lantana editore e da alcuni
anni avevo cominciato a studiare la questione del militarismo dominante,
le assurde spese militari e la nostra posizione debole nella Nato;
orripilato dagli scempi nel Medio Oriente e convinto profondamente che
le lobby delle armi e della guerra siano le vere eminenze grigie di
questo triste periodo. Sapevo qualcosa, ma leggendo il manoscritto ho
scoperto che il conflitto in Afghanistan aveva superato ampiamente la
durata della seconda guerra mondiale, che per ora non se ne vedeva la
fine e che è costato fino a quel momento ai cittadini italiani più di
cinque miliardi di euro (oggi sono più di sei). Ma non avevo capito
quanto per il sistema mediatico l’intervento militare in Afghanistan
fosse un argomento del tipo: “meno se parla e meglio è”.
Così il 22 marzo 2016, dopo aver scelto una piattaforma di crowdfunding (Ulule.com) con Nico abbiamo lanciato la prima campagna per pubblicare il suo “librone”. E’ stato interessante e emozionante, nonostante ambedue fossimo alla prima esperienza del genere, la comunità dei suoi
ascoltatori, di pacifisti, di soldati, di studiosi di questioni
internazionali ha risposto subito e tanti si sono attivati per arrivare
al successo dell’iniziativa. Grazie a quella campagna (vedi qui https://www.ulule.com/afghanistan-missione-incompiuta/)
abbiamo prevenduto 662 copie raggiungendo il 174% del budget minimo
richiesto; il libro “scomodo” così è stato distribuito per un totale di
più di 2000 copie, un successo considerando il mercato italiano. Intorno
al progetto è nata una comunità che si è adoperata per organizzare una
trentina di presentazioni in giro per l’Italia.
Qualche settimana fa ci siamo lanciati per la seconda volta in
una campagna di crowdfunding per produrre un nuovo libro
sull’Afghanistan, perché ahimè la guerra non è finita e il silenzio
mediatico si è persino aggravato, ma con questo secondo volume (https://www.ulule.com/afghanistan-missione-incompiuta-2/)
siamo in una corsa difficile che terminerà il 9 agosto e se non
raggiungeremo l’obiettivo stabilito tutto il lavoro andrà perduto.
Questa volta il progetto è più complesso e ambizioso perché
prevede di finanziare una spedizione indipendente di Nico Piro in
Afghanistan (in ottobre-novembre) per produrre un reportage approfondito
e aggiornato sulla situazione, l’operazione ha dei costi ben superiori
alla semplice pubblicazione di un libro e ci ha obbligato a stabilire un
obiettivo di prevendita copie alto che rischiamo di non riuscire a
raggiungere.
Crowdfunding significa letteralmente finanziato dalla folla,
oltre alla folla per buttarsi in un progetto del genere nell’Italia di
oggi ci vuole anche un po’ di follia ma è un rimedio alla crisi
editoriale e una strada per sostenere il giornalismo di qualità, per
illuminare le crisi dimenticate. Folla e follia, noi ce le abbiamo
entrambe e voi?